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LUCE DEGLI ABISSI

 Libro di Poesie di Carmen Cattani

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Sono Carmen.

Grazie di essere qui tra questi semini-lumicini che hanno dato una raccolta.

Di poesie? Così si dice, ma preferirei chiamarla LA LUCE DI UN’ANIMA.

Una Luce nell’abissale dove il silenzio è incredibilmente meraviglioso.

Voglio ringraziare la mia Anima per avermi inviato, dal suo infinito, una Luce, una vibrazione, dei Suoni che sono diventati parole che, intrise di sensazioni, emozioni e sentimenti ho potuto condividere.

Un Dono per dono.

Ed è per questo che penso che le “Poesie” non andrebbero scritte ma lette e Ascoltate …e poi dimenticate per lasciar vivere solo le emozioni e sensazioni che si trasmettono al nostro abissale silenzioso.

Gioia o dolore solo flusso e reflusso.

Questa per me è l’inizio di una condivisione, la speranza di UNITÀ

— L’ESSENZA-

. Amo il CAOS perché è pieno di tutto e in un attimo può essere assolutamente vuoto e pronto per ricominciare a creare un mondo nuovo. Non c’è ordine nei miei scritti, non c’è tempo; io ci sono però e anche tu che mi leggi ANZI, MI ASCOLTI.

E lasci che il silenzio si riempia palpabile di emozioni: le mie, le tue!

GRAZIE!

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Oppure si ordina in libreria con questo codice ISBN : 979-8851501913
ASIN ‏ : ‎ B0C9S86RHP
Lingua ‏ : ‎ Italiano
Copertina rigida ‏ : ‎ 95 pagine
ISBN-13 ‏ : ‎ 979-8851501913
Peso articolo ‏ : ‎ 200 g
Dimensioni ‏ : ‎ 15.24 x 1.04 x 22.86 cm

 

SCRIVONO DI QUESTO LIBRO:

Carmen, la voce data agli Alberi

Anacoreta. Così si definisce l’Autrice di questi versi. Un anacoreta che per nostra fortuna ha fatto un passo indietro dal cerchio delle abitudini del linguaggio, per osservare con più acutezza al fine di darci dei versi che sono delle formule di un nuovo stato della memoria.

La notte crudele nasconde la tenera follia della tua mente

Consiglierei il lettore di tenere con sé questi due aggettivi, crudele e tenera, per affrontare il viaggio tra le pagine scritte da Carmen .

Fin da subito chi legge avvertirà la presenza di un’altra creatura anacoretica, ovvero l’albero. E lo incontrerà, li incontrerà, dal momento che sono diversi, ciascuno con la sua presenza univoca, quali punti di riferimento. L’Autrice ci fa ricordare che la nobiltà dell’albero è l’essere testimone, il saper stare al posto assegnato con una dignità che al momento pare fuggita da quella che si chiama anima umana. E li incontrerà anche quando non sono direttamente presenti. E se sono assenti lasciano spazio all’assurdità dell’avventura degli esseri umani.

È più che noto che la poesia è una pratica del respiro, spazio e movimento, ad aprire il vuoto che sta dietro alla memoria, il vuoto grazie al quale è permesso al cuore di compiere la sua attività.

La poesia come punto di equilibrio di sistema.

Non sono versi consolatori, né di invettiva, sono versi di pura osservazione, quindi di testimonianza.

La definizione di sé che l’Autrice compila non è definitiva, ma viene costantemente rimessa in moto. Apparirà subito chiaro come sia profonda in lei la conoscenza del movimento e dello spazio, anche grazie alla pratica dell’Aikido, disciplina che le ha ispirato uno spettacolo andato in scena qualche anno fa.

Da lettore è come se avessi preso in prestito dall’Autrice uno sguardo che non sapevo di avere, che mi ha permesso di guardare con meno difficoltà le palesi disconnessioni del presente.

L’ingiustizia residua si districa fra grumi e finzioni

Finzioni che purtroppo sono immagini la cui misura del dolore non riusciamo a portare. Ed ecco allora il dolore dell’Autrice, così vivido, fisico, inspiegabile, che ci lega alla terra.

Ho un cielo sotto terra

un respiro geologico

Terra su cui, fra un incendio e una fuga, tra il balenare improvviso dell’insania dell’agire degli esseri umani, misteriosamente aleggia il dio più allontanato dal panorama spirituale, Eros.

Giochi di lusso sotto la luna

L’Autrice è presente, ma non si trova al centro, pur parlando di sé in maniera scoperta.

A volte si ha la sensazione di percepirla come osservatrice accanto al lettore, stupita e frastornata di fronte al mondo umano che si disfa.

In alcuni momenti, quando chi scrive parla del proprio corpo, sorge una strana speranza, come se esso fosse messo in comunicazione diretta con gli alberi.

Allora, quello che sembrava essere un canto per l’albero Luce diventa un canto autonomo, fatto di formule che spiazzano in maniera positiva:

Lunghissime reti pelagiche

freddi azzurrati

una terra al verde azulene

Far rivivere i colori, e lei ne è maestra, riesco a vedere il ruolo dei cristalli nella luce

Tra le innumerevoli figure dei mitologemi arborei per potermi avvicinare al mondo poetico di Carmen, la prima che mi è venuta in soccorso è stata la dea celeste Atahensic.

Secondo la leggenda irochese al momento della creazione un albero si ruppe e lasciò un buco al centro del terreno che conduceva fino al centro della terra. Atahensic cadde dal cielo e prima di cadere nel buco lasciato dall’albero, fu portata giù dalle ali degli uccelli.

Dopo la sua caduta gli uccelli l’hanno portata dal buco sull’acqua. Una tartaruga gigante emerse quindi dalle acque sotterranee per portarla in superficie.

Atahensic ha dato alla luce Madre Terra.

I cerchi invisibili dentro il tronco dell’albero non si chiudono, perché l’albero, chiara evidenza del nostro sistema nervoso che ha bisogno di cielo, di terra, e in mezzo a questi due, di acqua, si apre grazie all’Autrice ad un dialogo, che viene dal profondo del tempo e da dopo di noi.

Per questo il lettore terrà per sé qualcuno dei versi di Carmen, e diventerà più di un lettore che ricorda.

Gigi Corsini

 

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Ho letto con attenzione la tua raccolta Carmen.

Bella, bella, bella! Bella perché sento l’eco della tua voce, e soprattutto l’eco della tua autobiografia, le cui parti che conosco mi hanno davvero toccato il cuore come pochi racconti.

E poi bella per due elementi che ricorrono in modo più o meno marcato: gli alberi e il respiro

(la seconda è una delle mie preferite proprio per questo).

Ti dirò che in alcune gli accenni crudi al presente mi hanno un pò turbato: sei riuscita a cogliere a fondo qualcosa della nostra epoca in maniera davvero inquietante.

E questo librarsi, come il ritmo del respiro, tra il divino e il terreno, è una delle altre cose che mi ha colpito di più: perché, nonostante la realtà superiore sia sempre presente in ogni verso, non risparmi al lettore un confronto traumatico con il presente.

Daniel Abruzzese 

 

 

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